Esterno notte.
Taglio di luce da un lampione
solitario.
Sguardo fisso sul marciapiede, con gli
occhi che galleggiano nel buio.
Terrorizzato ed avvolto da un macabro
senso di inquietudine.
Respiro, ma non ce n’è bisogno.
Ordino alle mie gambe di farmi alzare,
e dopo un po’ obbediscono.
In silenzio, ascolto quello che la
città ha da dirmi.
La pioggia percuote il terreno,
scandendo innumerevoli frammenti di tempo.
Sirene che abbaiano seguono ai rumori
di saracinesche forzate.
Bottiglie di vetro passeggiano nelle
pozzanghere.
Cammino barcollando, e sento odore di
fuoco.
Mi rendo conto che lui mi sta cercando.
Calpesto lentamente le mie impronte, e
con il cuore che rimbomba mi accascio di nuovo.
Sento un’ombra distendersi su di me.
Una fredda canna di pistola mi gratta
sulla nuca.
Tuono.
Risveglio improvviso.
Ascelle sudate.
Gola in fiamme.
Morsa alla testa.
Se non avessi trent’anni, non mi
vergognerei di essermi pisciato a letto.
Tenebre.
Mi domando dove sono, ma non ho voglia
di rispondermi.
Il mio corpo si muove meccanicamente in
direzione del cesso.
Cerco sul muro l’interruttore della
luce di quel lurido buco.
Fallisco.
Fallisco.
Rimango al buio, e mi affido alle
insegne intermittenti di un motel.
Senso di nausea e stomaco in subbuglio.
Mi aggrappo al lavandino.
Lo riempio di vodka e patatine fritte semi-digerite.
Lo riempio di vodka e patatine fritte semi-digerite.
“Quanti anni hai?” mi domanda una voce
di donna da lontano.
Io sono a terra e fisso un soffitto che
non c’è.
“Quanti anni hai?” chiede nuovamente,
ma stavolta è più vicina.
“Trenta.” penso.
“Zitta.” rispondo.
Mi tiro su.
Lei è sull’uscio, con indosso la sua vestaglia, e mi esamina.
Lei è sull’uscio, con indosso la sua vestaglia, e mi esamina.
“Vieni a letto.” comanda.
Mi avvicino a lei.
Profondo scambio di sguardi.
So cosa vuole da me.
Il suo profumo mi scioglie la mucosa
nasale.
Afferro con decisione le sue spalle.
Poi la sposto, perché mi ingombra la
porta.
Mi infilo il mio impermeabile. E’
pesante, stasera.
Nessun saluto, e sono in strada.
La pioggia taglia le nuvole in migliaia
di coriandoli.
Corro e riprendo a respirare. Ne ho
bisogno.
Annuso l’aria mentre vengo trivellato
da brandelli di cielo.
L’ossigeno mi entra nei polmoni come un
carico di mattoni.
Lontano, nel buio, catturo l’immagine
della mia preda.
Il suo profilo inquadrato da un
lampione solitario.
E’ incapace di fuggire, ma fa del
tentativo la sua ultima ragione di vita.
Estraggo il ferro dalla tasca.
La caccia si apre.
Si rende conto che l’ho trovato.
Il suo sguardo è più veloce delle sue
gambe.
Un muro gli fa da boa, ma i suoi arti
cedono.
L’ultimo abbraccio che ottiene è quello
della mia ombra.
La mia pistola gli raschia la nuca.
Nonostante abbia trent’anni, tra pochi
attimi si vergognerà di essersi pisciato a letto.
Tuono.
Fine.