giovedì 13 luglio 2006

Lampione solitario


Esterno notte.
Taglio di luce da un lampione solitario.
Sguardo fisso sul marciapiede, con gli occhi che galleggiano nel buio.
Terrorizzato ed avvolto da un macabro senso di inquietudine.
Respiro, ma non ce n’è bisogno.
Ordino alle mie gambe di farmi alzare, e dopo un po’ obbediscono.
In silenzio, ascolto quello che la città ha da dirmi.
La pioggia percuote il terreno, scandendo innumerevoli frammenti di tempo.
Sirene che abbaiano seguono ai rumori di saracinesche forzate.
Bottiglie di vetro passeggiano nelle pozzanghere.
Cammino barcollando, e sento odore di fuoco.
Mi rendo conto che lui mi sta cercando.
Calpesto lentamente le mie impronte, e con il cuore che rimbomba mi accascio di nuovo.
Sento un’ombra distendersi su di me.
Una fredda canna di pistola mi gratta sulla nuca.
Tuono.

Risveglio improvviso.
Ascelle sudate.
Gola in fiamme.
Morsa alla testa.
Se non avessi trent’anni, non mi vergognerei di essermi pisciato a letto.
Tenebre.
Mi domando dove sono, ma non ho voglia di rispondermi.
Il mio corpo si muove meccanicamente in direzione del cesso.
Cerco sul muro l’interruttore della luce di quel lurido buco.
Fallisco.
Rimango al buio, e mi affido alle insegne intermittenti di un motel.
Senso di nausea e stomaco in subbuglio.
Mi aggrappo al lavandino.
Lo riempio di vodka e patatine fritte semi-digerite.

“Quanti anni hai?” mi domanda una voce di donna da lontano.
Io sono a terra e fisso un soffitto che non c’è.
“Quanti anni hai?” chiede nuovamente, ma stavolta è più vicina.
“Trenta.” penso.
“Zitta.” rispondo.
Mi tiro su.
Lei è sull’uscio, con indosso la sua vestaglia, e mi esamina.
“Vieni a letto.” comanda.
Mi avvicino a lei.
Profondo scambio di sguardi.
So cosa vuole da me.
Il suo profumo mi scioglie la mucosa nasale.
Afferro con decisione le sue spalle.
Poi la sposto, perché mi ingombra la porta.
Mi infilo il mio impermeabile. E’ pesante, stasera.
Nessun saluto, e sono in strada.
La pioggia taglia le nuvole in migliaia di coriandoli.
Corro e riprendo a respirare. Ne ho bisogno.
Annuso l’aria mentre vengo trivellato da brandelli di cielo.
L’ossigeno mi entra nei polmoni come un carico di mattoni.
Lontano, nel buio, catturo l’immagine della mia preda.
Il suo profilo inquadrato da un lampione solitario.
E’ incapace di fuggire, ma fa del tentativo la sua ultima ragione di vita.
Estraggo il ferro dalla tasca.
La caccia si apre.
Si rende conto che l’ho trovato.
Il suo sguardo è più veloce delle sue gambe.
Un muro gli fa da boa, ma i suoi arti cedono.
L’ultimo abbraccio che ottiene è quello della mia ombra.
La mia pistola gli raschia la nuca.
Nonostante abbia trent’anni, tra pochi attimi si vergognerà di essersi pisciato a letto.
Tuono.
Fine.

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